Il caso della Germania: l’enigma svelato del basso tasso di mortalità
Secondo i dati pubblicati dalla Johns Hopkins University, il mondo conta a oggi, 1 aprile 2020, 874.081 positivi al COVID-19 e 43.291 morti, per un tasso di mortalità del 4,95%. In Europa, tra i paesi più colpiti, con più di 50.000 casi confermati, l’Italia ha un tasso di mortalità dell’11,74%, la Spagna dell’8,86%, la Francia del 6,75% e la Germania dell’1,08%. Come mai? Di certo sappiamo che è il paese europeo ad avere eseguito più test. Il grafico in alto di El País, aggiornato al 20/03/2020, mette in relazione mortalità e numero di test effettuati. I dati ci dicono che, al mondo, la Corea del Sud è il paese ad aver effettuato più test, con i suoi 5.832 test/mil. ab. (test per milione di abitanti) al giorno, seguita dalla Germania con 3.859 test/mil. ab. e l’Italia con 3.423 test/mil. ab.; una correlazione tra numero di test e tasso di mortalità esiste, come dimostrano i dati della Corea del Sud e della Germania, ma non sembra essere l’unica spiegazione all’enigma.
Qual è, dunque, la spiegazione? Le autorità non lo sanno per certo, nemmeno quelle tedesche, ma si ragiona almeno su tre ipotesi.
La prima ipotesi è che in Germania il virus sia ancora in una fase iniziale. In Italia, infatti, quando si è arrivati all’identificazione del ventesimo paziente positivo, è passata solo una settimana per arrivare al ventesimo morto. Questo indica che il virus circolava almeno da due o tre settimane, perché sono quelle necessarie al virus per arrivare alla morte. Dunque, eravamo già in ritardo di settimane. Gli altri paesi europei, data l’esperienza dell’Italia, hanno duplicato i loro sforzi nella ricerca dei positivi e questo ha fatto in modo che la Germania iniziasse a identificare il suo focolaio nella prima fase, come spiega il virologo Christian Drosten a Zeit. Identificare la maggior parte dei positivi all’inizio dello scoppio dell’epidemia è importante e potrebbe spiegare la bassa mortalità per due ragioni: un primo motivo, già accennato, è che ci vogliono almeno due o tre settimane prima che il virus provochi la morte; inoltre, l’aver identificato i casi positivi sin dal principio permette di abbassare il tasso di mortalità, perché permette di identificare il maggior numero di casi di pazienti giovani, che sono i primi a contagiarsi (perché fanno parte della popolazione attiva, che viaggia di più) e anche quelli che resistono di più.
La seconda ipotesi si ricollega proprio all’età dei pazienti positivi al COVID-19 e, indirettamente, anche al numero di tamponi. In Germania, infatti, solo il 20% dei contagiati ha più di 60 anni, così come in Corea. In Italia, di contro, il 58% dei positivi (di quelli identificati) ha più di 60 anni. Questo potrebbe spiegare la differenza del tasso di mortalità tra i vari paesi, e non la piramide della popolazione di ogni paese, in quanto Germania e Italia hanno il 25% e il 26%, rispettivamente, di abitanti con più di 65 anni.
La terza ipotesi riguarda proprio il numero di tamponi. Più tamponi si effettuano, più è possibile individuare anche i casi più lievi (che di solito riguardano i più giovani) e più il tasso di mortalità si avvicina alla realtà, diminuendo il numero di morti.
In conclusione, sembra proprio che il basso tasso di mortalità in Germania sia dovuto a vari fattori, tra cui anche la fortuna di essere stata allertata dalla diffusione dell’epidemia in Italia.