Una semplice domanda di un docente sulla Didattica a Distanza
Oggi il Consiglio dei Ministri potrebbe approvare un nuovo decreto che, se ricalcasse la bozza che è circolata in questi giorni, renderebbe obbligatoria per i docenti della scuola italiana la cosiddetta Didattica a Distanza. Quella che sino ad oggi è stata considerata una “inevitabile necessità” che “responsabilmente” le e gli insegnanti si sono in larga parte acconciati volontariamente a soddisfare, attingendone gli strumenti più nel proprio bagaglio umano e professionale che nella celebrata tecnologia che il sistema ha disordinatamente messo loro a disposizione, diventerebbe obbligo di lavoro a tempo “indeterminato” – sia pure in un contesto emergenziale che si suppone circoscritto nel tempo – imposto per legge e non determinato dalle sequenze contrattuali previste da quel che rimane del diritto del lavoro.
Immagino che tale nuovo paradigma accolga le argomentazioni di chi a vario titolo si mostra preoccupato di dare autoritativamente alla DAD quella dignità formale “sostitutiva” della didattica in presenza che non ha (e non può avere) nella sua dimensione di concreta pratica pedagogica. E immagino che il nuovo obbligo imposto ai docenti scaturisca dal presupposto concettuale secondo cui sarebbe impossibile qualunque ratifica della regolarità dell’anno scolastico in assenza della regolamentazione autoritativa (nonché del tutto irrilevante sul piano della sostanza dei processi formativi reali) delle pratiche di DAD. La logica (del tutto formale) che mi pare di scorgere in questo probabile provvedimento è, sinteticamente, questa: l’anno scolastico sarà regolare solo se tutti i docenti (e non solo quelli “volontari“), scuola per scuola, classe per classe, disciplina per disciplina, assolveranno al proprio obbligo di lavoro di DAD, né più né meno di come devono fare per i propri “regolari” obblighi di lavoro. Quindi, vanno bene gli attestati di eroismo e la copiosa profusione di retorica ministeriale sulla generosità delle maestre e delle professoresse in questo tragico momento e bla bla bla, ma basta con le chiacchiere: formalizzate, verbalizzate, certificate. Insomma, fate il vostro dovere di insegnanti della scuola dell’autonomia.
Ora, e arrivo al dunque, è del tutto superfluo e irrilevante che io mi spenda per “dimostrare” quanto tutto quello di cui sopra ho riferito è una colossale montagna di immonde stupidaggini. Quindi, non lo farò. Quello che voglio fare è porre al governo e alla ministra (e a chiunque voglia rispondere) una semplice e umile domanda: visto che la DAD sarà formalmente un obbligo di lavoro per ogni docente, a quest’obbligo del dipendente di assicurare la prestazione, perché non ci sia interruzione di pubblico servizio, corrisponde il simmetrico obbligo da parte dell’amministrazione di nominare un supplente quando qualcuna/o di noi dovesse essere nell’impossibilità di assolvere al proprio obbligo, per malattia o, perché no, morte? Oppure, per magia, si smarrirà la sacralità della regolarità dell’anno scolastico e del diritto allo studio e si tornerà alla logica che subordina la regolarità formale e il riconoscimento dei diritti alle “compatibilità” di bilancio? Come accade regolarmente per il diritto all’istruzione e al sostegno di chi è in situazione di handicap, salvo poi riconoscerli “obtorto collo” di fronte alle migliaia di sentenze fotocopia dei TAR, a cui i genitori delle ragazze e dei ragazzi disabili sono stati costretti a rivolgersi?
Sa, è una semplice domanda.
Roberto Alessi, docente