Nell’eden perduto: storia di due solitudini
In nessun luogo: come dire ovunque. E mai, ovvero sempre.
Sempre e dovunque, il Paolo eroe del romanzo di Francesco Scrima (“In nessun luogo, mai”, Torri del Vento Edizioni), l’uomo che ciascuno di noi conosce, o ha conosciuto, farà vibrare dentro il nostro animo, e per mezzo dei nostri sensi, quelle corde intime che troppo spesso vengono lasciate in un angolo a tacere.
Quest’uomo, fatto della materia dei sogni e forgiato con la comune realtà, ci condurrà per mano – così come lui conduce se stesso – in una terra di mezzo dove i frammenti del passato si ricompongono, a ricostruire il proprio essere, in un eterno presente, in una sorta di calderone primordiale, sempre attivo.
E il fuoco non è solo quello degli amori di un tempo, mai del tutto “estinti”, custoditi insieme al nostro Io più giovane, come le letture più care nello scrigno sicuro della libreria di casa: il fuoco è la luce di una notte africana che irrompe, è il riflesso di una pelle ambrata, o di due occhi di donna, nei quali si fa presto a perdersi, perché questi ci spingano, infine, a trovare una nuova via.
Bianca, o Manaar – protagonista femminile della storia e incarnazione dell’eterno femminino – sin dalle prime pagine è un incontro rivelatore, tanto per l’eroe quanto per chi legge. Di più: è l’Incontro. Surreale – come il Caso o come certe fantasie – e insieme concreto, come la Madre Terra, come il corpo e le sue pulsioni, come la stessa morte, che spesso ci unisce in un comune dolore.
È l’ “Incontro” nella vita di Paolo uomo maturo, Paolo marito premuroso e consapevole, Paolo insegnante per vocazione.
Paolo mai stato genitore, se non per un unico indimenticabile giorno. Paolo che, se qualcosa ha generato, è stato un altro se stesso; figlio e padre, ad un tempo, del giovane che fu, che è stato, che in qualche modo sarà ancora.
E l’autore, lo Scrima ispirato ed ispiratore che lo ha generato a sua volta, lo conosce bene, il “suo” Paolo. Così come sembra conoscere me, e voi; ciascuno di noi, insomma.
Vivere questa storia non darà solo piacere e godimento, innescando l’ansia della scoperta (o della riscoperta), accendendo i sensi, stimolando la riflessione. Vivere questa storia ci condurrà, passo dopo passo, in un deserto per sua natura duplice, dove l’aria infuocata del giorno non ripara dal freddo raggelante della sera, dove ci si ritrova nudi sotto il sole cocente, o sotto un telo di stelle pungenti. Nudi e senza difese ma senza provare vergogna, o paura; uniti da un solo destino, in un comune Eden perduto.
Già dalla parte seconda del libro, Scrima lo rivela a tutti noi, con il giovane Werther:
“Noi siamo i nostri propri demoni, noi ci espelliamo dal nostro paradiso.”
DANIELA PALUMBO